Riforma del C.d.S. e interventi ciclabili ai sensi del d.l. 76/2020:
e adesso che succede?
L’approvazione in via definitiva della legge di riforma del Codice della Strada è destinata a produrre un forte impatto, tra gli altri, sull’intero settore della mobilità ciclistica. La riforma infatti interviene sull’apparato di normazione primaria che, dal 2020 a oggi, con l’introduzione delle ‘corsie ciclabili’ e di altri analoghi dispositivi ciclabili ha consentito a molte amministrazioni locali di sviluppare azioni importanti per dimensioni, economicità ed efficacia a favore della circolazione delle biciclette.
La riforma, oltre a un comprensibile e condivisibile obiettivo di riordino dell’apparato normativo con la rimozione dal codice di elementi tecnici che dovrebbero trovare una più appropriata collocazione in atti secondari, lascia chiaramente trasparire dal suo articolato, dalle relazioni e dalle discussioni svolte nelle commissioni parlamentari la volontà di restringere e irrigidire le modalità applicative delle fattispecie sopra ricordate.
E’ proprio per contrastare tale tendenza, che si accompagna ad altre ed altrettanto gravi disposizioni regressive della riforma rispetto ai temi della sicurezza stradale, della mobilità sostenibile e del rispetto delle regole di circolazione, che nell’ultimo anno si sono succedute diverse prese di posizione e iniziative di un’ampia parte della società civile, del mondo tecnico e professionale, del mondo ambientalista e delle stesse associazioni dei familiari delle vittime sulla strada.
Ora che la riforma è stata approvata, il documento che segue vuole costituire uno strumento operativo di carattere tecnico-legale, da un lato per consentire alle amministrazioni locali di difendere quanto già realizzato e proseguire le azioni di regolamentazione e infrastrutturazione ciclabile sino a oggi positivamente intraprese potendo contare su un apparato solido di elementi tecnici, riferimenti normativi e argomentazioni legali, dall’altro lato per evitare che i decreti legislativi, i regolamenti e decreti ministeriali e le linee guida che daranno attuazione alla riforma, ne confermino o rafforzino la deriva negativa sulla ciclabilità.
Visione 30: libertà di vivere
Un gruppo di 130 esperti del settore ha promosso una Lettera aperta al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini per esprimere la propria profonda preoccupazione per l’involuzione che il Paese sta subendo sui temi della sicurezza stradale e della mobilità sostenibile.
Le adesioni alla lettera aperta sono state da subito numerose e autorevoli, la pagina web vuole permettere a tutti i tecnici del settore che si riconoscono nell’appello di sottoscriverlo.
Se vuoi aderire, comunica ad un firmatario di tua conoscenza, nome | cognome |professione |ruolo | area di riferimento (scegliendo fra Area Tecnica (Ingegneri, architetti, urbanisti, …); Area Socio Sanitaria; Area Giuridica; Area Scuola).
La lettera aperta è sostenuta anche dalle principali Federazioni, Fondazioni e Associazioni italiane di familiari di vittime sulla strada, che hanno promosso un appello unitario.
Lettera aperta al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini
Come gruppo di esperti e tecnici impegnati nel settore della pianificazione e progettazione della mobilità e del traffico stiamo assistendo a una dura presa di posizione da parte del Ministro dei Trasporti avversa alle politiche di moderazione delle velocità dei veicoli nelle aree urbane.
Con l’emanazione della “Direttiva sulla disciplina dei limiti di velocità nell’ambito urbano ai sensi dell’art.142 del Nuovo Codice della Strada” il Ministro si è infatti opposto in modo esplicito all’iniziativa assunta dal Comune di Bologna di applicare su un’ampia parte (70%) delle strade comunali il limite di velocità di 30 km/h (Città 30).
Si tratta di una posizione poco comprensibile, non basata su alcuna evidenza tecnica o sperimentale, che si pone in netto contrasto con quanto viene suggerito dai massimi istituti sovranazionali come l’OMS e il Parlamento Europeo, oltre che dal Piano Nazionale della Sicurezza Stradale dello stesso MIT, e che ignora quanto è da tempo ampiamente praticato con risultati innegabilmente positivi in molte altre città nel mondo.
Contemporaneamente il MIT si è fatto portatore delle modifiche al Codice della Strada attualmente in discussione in Commissione Trasporti, in particolare per le parti destinate a depotenziare le norme sulla ciclabilità introdotte dalla legge 120/2020, comprese le strade ciclabili, le corsie ciclabili, gli attestamenti avanzati e il doppio senso ciclabile. Anche in questo caso si tratta di una posizione priva di qualunque giustificazione tecnica, che non tiene conto dell’esperienza di moltissime realtà estere e che dimentica che, da quando sono stati introdotti, questi dispositivi hanno consentito al nostro paese di compiere significativi progressi verso il recupero della ciclabilità come modo di trasporto alternativo.
È inoltre opportuno sottolineare come gli interventi citati, in diversi casi, sono stati in tutto o parzialmente finanziati con fondi del PNRR per la Missione 2-Rivoluzione verde e transizione ecologica- in capo allo stesso MIT; ne consegue che le ventilate modifiche alla normativa vigente comporterebbero una ridefinizione dei progetti in atto e delle risorse, pena la mancata erogazione dei finanziamenti da parte del Programma NEXT Generation EU.
Come tecnici ed esperti da anni impegnati sui temi della pianificazione e della progettazione della mobilità e dei trasporti con specifica attenzione alle aree urbane esprimiamo dunque la nostra profonda preoccupazione per l’involuzione che il nostro paese sta subendo e che lo allontana sempre più dalle scelte attuate da tutti i paesi dell’Unione Europea e dalla comunità internazionale.
E’ al proposito necessario ricordare l’obbligo di perseguire gli obiettivi indicati sia dagli organismi internazionali a cui l’Italia aderisce (ONU, OMS) che dagli strumenti di politica dei trasporti dell’Unione Europea e Nazionale (Piano Nazionale della Sicurezza Stradale), in particolare la riduzione del 50% degli incidenti al 2030. Tale obiettivo non può essere raggiunto senza poter intervenire con efficacia nell’ambito urbano, dove in Italia si registrano i tre quarti degli incidenti stradali, con un tasso di mortalità che si mantiene costante ormai da un decennio ovvero (pari a 1,1 morti ogni 100 incidenti) e un costo economico che supera i 13 miliardi di euro all’anno.
In questo ambito, dove si concentrano elevati flussi di mobilità motorizzata e non motorizzata, un’alta densità di immissioni e intersezioni e diffuse “interferenze” con altri usi della strada, la velocità rappresenta quasi sempre causa, concausa o aggravante dell’incidentalità: da essa infatti dipendono le distanze di arresto, le energie di impatto, la possibilità di effettuare manovre di emergenza e il restringimento del cono visuale dei guidatori.
Peraltro l’esperienza accumulata da ormai molte città ha dimostrato come la riduzione correttamente attuata della velocità in ambito urbano non sia in contrasto con una mobilità efficiente, dato che l’aumento dei tempi di percorrenza è sempre risultato del tutto marginale se non addirittura inesistente.
Di fronte a questi effetti sulla componente veicolare è necessario considerare anche i vantaggi che la riduzione delle velocità comporta per tutti gli altri utenti della strada, dato che le migliori condizioni di sicurezza e il minor inquinamento acustico e atmosferico favoriscono un maggior utilizzo dello spazio pubblico da parte di soggetti altrimenti penalizzati, come pedoni, ciclisti, bambini, anziani e disabili.
Ne deriva che il limite a 30 km/h, se correttamente applicato, non solo non confligge, ma anzi favorisce il diritto alla mobilità e la libera circolazione delle persone.
Sono questi gli elementi di cui come tecnici siamo chiamati a tenere in conto quando nell’ambito delle attività di redazione dei piani di settore (Piani Urbano del Traffico e Piani Urbani della Mobilità Sostenibile) identifichiamo le misure atte a conseguire gli obiettivi e i target riconosciuti e sottoscritti in ambito nazionale e internazionale
Il Ministro e il suo Ministero dovrebbero dire come pensano altrimenti di conseguire gli obiettivi indicati dallo stesso Decreto Ministeriale 396 del 28 agosto 2019 con riferimento alla redazione dei Piani Urbani della Mobilità Sostenibile e, soprattutto, l’obbligo sancito dallo stesso Codice della Strada che all’art.1 pone la sicurezza delle persone tra le finalità primarie di ordine sociale ed economico perseguite dallo Stato.
Sempre nella logica dei PUMS è inoltre essenziale che sia riconosciuto agli abitanti delle singole città, attraverso le istituzioni che li rappresentano, il diritto di decidere all’interno delle proprie politiche di governo della mobilità i tempi e i modi di tali interventi, ricordando che ai sindaci è attribuito il compito di tutela della incolumità pubblica e la sicurezza urbana, che è “un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell’ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale”.
Chiediamo pertanto:
- che il Ministero non solo non contrasti, ma agevoli l’iniziativa di Bologna e delle altre città che intendono adottare il modello di Città 30, che possono costituire un importante esperimento sulla cui base formulare norme e indirizzi in modo più corretto e informato;
- che non si approvino le modifiche del Codice della Strada avverse alle norme introdotte dalla L.120/2020 sulla ciclabilità, norme che finalmente ci allineano alle modalità adottate negli altri paesi europei;
- che non si riduca ma anzi si ampli la possibilità di utilizzare sistemi avanzati di telecontrollo delle infrazioni, compreso il limite dei 30 km/h in ambito urbano;
- che si emani una normativa nazionale sui dispositivi di moderazione del traffico, sulla base di quanto sperimentato dai paesi che presentano tassi di incidentalità e mortalità stradale ben inferiori a quello italiano.
31 Gennaio 2024
Le principali federazioni, fondazioni e associazioni italiane di familiari di vittime sulla strada sostengono la lettera aperta.
13 febbraio 2024
Promuovono l’appello
Scroll down
Aderiscono all’appello
Scroll down